Il progetto Bottone! Ma cos’è un Bot

Che cos’è un bot?
Bot è un’abbreviazione di robot, termine che deriva dal ceco e vuol dire “lavoro pesante”. In alcuni casi i bot e i robot svolgono quei lavori che noi esseri umani non possiamo (o non vogliamo) più svolgere.


Qual è la differenza tra bot e robot?
La parola “robot” viene utilizzata per indicare una serie di macchine ingegnerizzate in grado di compiere attività in ambito industriale, militare, ma anche sanitario o di intrattenimento. Il termine “bot”, invece, si riferisce a programmi informatici fortemente automatizzati, in grado di svolgere precise attività o di interagire con gli umani. Grazie all’integrazione di tecnologie di intelligenza artificiale, alcuni bot sono in grado di apprendere nel tempo e quindi svolgere compiti sempre più elaborati. Per semplificare potremmo dire che i robot stanno ai bot come un computer (hardware) sta un programma (software).

A cosa servono i bot?
Al momento sono molto diffusi i chatbot, ovvero programmi in grado di dialogare attraverso comandi testuali (ad esempio, sulle app di messaggistica come Facebook Messenger, Whatsapp o Telegram) oppure attraverso comandi vocali (si pensi a Siri di Apple, Cortana di Microsoft o Echo di Amazon). Ad esempio, durante le ultime presidenziali Usa, è stato lanciato un bot per Facebook Messenger per scoprire come votare: gli utenti potevano porre domande sulla registrazione e ricevere risposte pertinenti. Gli attuali chatbot funzionano molto bene per svolgere compiti semplici: effettuare una ricerca online, prenotare un volo, controllare il meteo, leggere le ultime notizie. La maggior parte dei bot, comunque, non parlano con noi, ma sono del tutto invisibili: su Wikipedia, ad esempio, controllano che tutto funzioni bene e, in alcuni casi, traducono anche delle voci. Altri ancora vengono utilizzati per finalità di spam, per manipolare i click o i like sui social media o, ancora, per lanciare attacchi informatici.

Qualche esempio di bot innovativo?
Uno degli utilizzi più apprezzati riguarda l’assistenza ai clienti. Diverse banche (come Bank of America e Royal Bank of Scotland) stanno sperimentando bot in grado di dialogare con i propri clienti e, soprattutto, di analizzare i dati finanziari per offrire consigli personalizzati. Ci sono, poi, decine di startup focalizzate sull’offerta di servizi commerciali attraverso chatbot. Pana è un’agenzia online che permette di prenotare i propri viaggi semplicemente con una serie di messaggi di testo. Operator si focalizza sull’e-commerce puntando sull’accoppiata bot + esseri umani per dare consigli d’acquisto personalizzati. Molto apprezzato è Amy, assistente virtuale integrato con la nostra email in grado di organizzare al meglio la nostra agenda. C’è, poi, chi scommette su un boom in ambito sanitario, dove i bot potrebbero occuparsi di evadere le richieste più comuni dei pazienti e, così, lasciare ai medici più tempo per dedicarsi ai casi più complicati.

E’ vero che ci sono bot in grado di scrivere frasi di senso compiuto?
Si, Quill e Wordsmith sono due software che permettono di generare articoli giornalistici, ma anche report sull’allenamento settimanale o sulle proprie prestazioni al fantacalcio a partire da una serie di dati strutturati. L’agenzia Associated Press utilizza da tempo Wordsmith per scrivere articoli con i risultati finanziari di oltre 3700 compagnie (prima riusciva a coprirne solo 300). E non è l’unica testata: dal baseball agli incidenti automobilistici, passando per i necrologi e le calamità naturali sempre più siti di informazione ricorrono a (ro)bot-giornalisti. In alcuni casi, è quasi impossibile distinguere un testo scritto da un bot da uno scritto da un essere umano (FAI IL QUIZ).

Ci sono bot interessanti anche in italiano?
Al momento i bot più innovativi sono quelli in grado di comprendere l’inglese o il cinese, perché in queste lingue l’elaborazione del linguaggio naturale (Natural Language Processing) è più avanzata. In italiano ci sono ancora molte limitazioni su questo fronte, ma ha già preso piede una vasta offerta di bot più basati sulla geolocalizzazione o un’interazione minima: si va da Traccia Treni che fornisce informazioni su orari e scioperi ferroviari a MuseiBot che consiglia rispettivamente i musei più vicini in base alla propria posizione. Su questo sito è possibile trovarne un lungo elenco di bot specifici per l’app di messagistica Telegram, una delle prime a supportare l’uso di bot. Dallo scorso aprile anche Facebook Messenger ha introdotto i chatbot: questa novità dovrebbe spingere la diffusione anche in italiano.

Quali sono le principali tecnologie su cui si basano i chatbot?
Il primo chatbot è stato sviluppato nel 1966 e si chiamava Eliza. Nel tempo sono stati creati programmi sempre più sofisticati, grazie agli avanzamenti nel campo della comprensione del linguaggio naturale e, più di recente, del cosiddetto “machine learning”, area dell’intelligenza artificiale che si elabora algoritmi e sistemi informatici in grado di apprendere e migliorare nel tempo. In questo modo i bot non solo eseguono compiti prestabiliti, ma riescono anche a prendere decisioni su aspetti per cui non sono mai stati programmati.

Il Ceo di Microsoft Satya Nadella ha dichiarato che “i bot sono le nuove app”. Ma qual è la differenza tra un bot e un’app?
La principale differenza tra una app e un bot è che le prime vanno scaricate e installate, mentre i secondi vanno solo attivati all’interno di app e siti web senza bisogno di download. In questo modo possono funzionare all’interno delle app e dei programmi che già utilizziamo, andando a potenziarne le funzionalità interattive. Proprio questa “invisibilità” oggi rappresenta uno dei maggiori vantaggi dei bot: molti utenti potrebbero trovarli più semplici da utilizzare rispetto alle app.

Esiste una stima di quanti bot ci sono al mondo?
Non esistono cifre attendibili sul numero complessivo di bot esistenti. Anche perché la maggior parte sono utilizzati per scopi poco nobili di spam. Ad ogni modo, secondo uno studio del 2015, il traffico Internet generato dai bot ha superato quello degli umani. Esistono, poi, dati sulle singole piattaforme: in uno degli ultimi report, Twitter ha rivelato che i bot costituiscono l’8,5% degli utenti attivi mensili. E proprio i bot hanno giocato un ruolo importante nelle ultime elezioni Usa, come ha rivelato uno studio dell’Oxford Internet Institute: durante il primo dibattito presidenziale i bot hanno creato oltre 500 mila tweet di supporto a Trump e 139.000 di supporto a Hillary Clinton. Gli studiosi hanno calcolato che quasi 1 tweet su 4 (23%) è stato generato o condiviso da un bot.

Ci sono anche usi “pericolosi” dei bot?
Assolutamente si. I bot non sono mai neutrali, ma incorporano sempre il punto di vista del programmatore che li ha scritti. Oppure, nel caso del machine learning, del tipo di interazioni che ha con gli utenti. Lo scorso anno ha fatto molto discutere Tay, un chatbot sviluppato da Microsoft in grado di apprendere il linguaggio degli utenti con cui interagiva su Twitter. Dopo che alcuni utenti hanno iniziato a rivolgersi al bot con insulti, anche Tay ha iniziato a scrivere messaggi poco delicati. Quanto è bastato perché Microsoft decidesse di interrompere l’esperimento. Anche l’utilizzo dei bot durante la recente campagna elettorale Usa ha fatto molto discutere: sempre secondo l’Oxford Internet Institute, molti dei bot presenti online hanno contribuito a diffondere notizie false che sono diventate virali sui social media.


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