La vita e la scuola al tempo del coronavirus

Chi avrebbe mai pensato, un mese fa, che oggi ci saremmo ritrovati chiusi in casa?
La risposta che chiunque darebbe è “nessuno”, perché nessuno immaginava ciò. È il 27 Marzo, il diciannovesimo giorno passato in quarantena. È molto strano svegliarsi la mattina sapendo che il resto della giornata passerà tra quelle quattro mura. Abituarsi è difficile per chi, come me, era abituato a passare le giornate fuori, tra scuola e amici. Ma, per fortuna, resta ancora qualcosa di una routine che sembra appartenere ad un passato lontanissimo, cioè lo studio. Tutti normalmente odiamo studiare, lo vediamo come una perdita di tempo che potremmo impiegare facendo altro. E ora che proprio altro da fare non c’è, diventa bello farlo perché più comodo. Abbiamo delle scadenze ma anche un ampio margine di tempo per fare ciò che ci viene assegnato. Oltre che per la comodità, è bello perché ora è il nostro unico appiglio per tenerci impegnati, per evitare di impazzire e pensare di essere in galera. Perché così sembra tutto questo, una galera, fin dal momento in cui il premier Conte ha annunciato che “non ci saranno più zone rosse, ma un’Italia protetta”.
È difficile anche tenere i nervi saldi di fronte a quella che sembra essere diventata una guerra mediatica. Non è difficile imbattersi, anche sui social, in continue lotte basate sul nulla che portano a pensare una cosa: la gente va facilmente nel panico perché si informa poco e male e questo ai media piace. Piace perché in questo modo sfruttano un meccanismo psicologico che condiziona tutti noi: la ricerca di notizie che confermano il nostro punto di vista su una questione. Quindi in questo modo vediamo da una parte chi è convinto che il virus non è un problema poi così grosso, cercare dichiarazioni o grafici ottimistici, mentre dall’altra, chi ha paura e lo vive come la nuova apocalisse andare a caccia di statistiche o testimonianze drammatiche, trasformando quelli che nascono come mezzi utili per dire la nostra liberamente in oggetto di sfida verso tutto ciò che va contro la nostra idea. Come se questa fosse una trincea in cui vince chi alla fine potrà dire “avevo ragione io”, sfidando chiunque in una guerra noiosa, più noiosa di queste giornate che spero passino presto. Ma cosa succederà quando tutto questo finirà? Come saremo noi?
C’è chi dice che faremo più attenzione a tutto, chi dice che niente ci sembrerà più scontato, ma la verità è che dopo pochi giorni avremo già dimenticato tutto questo, come accade con tutte le cose brutte.

di Francesco Schifaudo, della redazione di Impreparati


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